IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 267 del 2003,
proposto   dal  sig.  Vincenzo  Costantino,  rappresentato  e  difeso
dall'avv. Maria Rosaria Nicoletti ed elettivamente domiciliato presso
lo studio del medesimo, in Parma, piazzale Santafiora n. 7;
    Contro  Ministero  dell'interno,  in  persona del Ministro p.t. e
Ufficio  territoriale  del  Governo  -  Prefettura della Provincia di
Parma,  entrambi  rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale
dello  Stato  di Bologna, presso i cui uffici, in Bologna via G. Reni
n. 4  sono domiciliati ex lege, per l'annullamento previa sospensiva,
del  decreto  in  data  11 aprile  2003,  con  cui  il Prefetto della
Provincia  di Parma ha respinto l'istanza del ricorrente, titolare di
impresa  individuale,  diretta ad ottenere la legalizzazione, a norma
del  d.l.  9 settembre  2002,  n. 195, convertito, con modificazioni,
dalla   legge   9 ottobre   2002,  n. 222  dell'attivita'  di  lavoro
subordinato  prestata irregolarmente dal cittadino albanese Alimandhi
Veli.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'Amministrazione
dell'Interno intimata;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore,  alla  pubblica  udienza del 23 novembre 2004, il dott.
Umberto  Giovannini;  uditi, altresi', l'avv. Maria Rosaria Nicoletti
per  il  ricorrente  e  l'avv. dello Stato Zito per l'amministrazione
resistente.
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con  il  ricorso  n. 267 del 2003, notificato il 23 giugno 2003 e
depositato  l'8 luglio  2003, il ricorrente imprenditore individuale,
chiede   l'annullamento,  previa  sospensiva,  del  decreto  in  data
11 aprile  2003,  con  cui  il  Prefetto  della Provincia di Parma ha
respinto  l'istanza  dal  medesimo  proposta,  diretta ad ottenere la
legalizzazione,   a   norma   del   d.l.  9 settembre  2002,  n. 195,
convertito,  con  modificazioni,  dalla legge 9 ottobre 2002, n. 222,
dell'attivita'  di  lavoro  subordinato  prestata  irregolarmente dal
cittadino albanese Alimandhi Veli.
    Il  ricorrente  ritiene illegittimo il provvedimento impugnato in
quanto  lo  stesso e' fondato unicamente sul diniego di nulla osta in
precedenza  adottato  dalla  Questura  di Parma ai sensi dell'art. 1,
comma  8  lett.  c)  del  citato  n. 195 del 2002 perche' il suddetto
lavoratore   straniero   risultava  indagato  per  il  reato  di  cui
all'art. 624  c.p.  (furto);  delitto  previsto  tra  quelli elencati
all'art. 381 c.p.p. per i quali, in caso di flagranza, e' facoltativo
l'arresto   da   parte   degli  ufficiali  ed  agenti  della  Polizia
giudiziaria  e  per  i  quali,  unitamente a quelli piu' gravi di cui
all'art. 380  c.p.p.  (arresto obbligatorio in caso di flagranza), il
suddetto  art. 1,  comma 8, lett. c) del d.l. n. 195 del 2002 prevede
che   anche   le   mere   denunce   costituiscano  elemento  ostativo
all'accoglimento dell'istanza di legalizzazione presentata dal datore
di lavoro, salvo che i relativi procedimenti si siano conclusi con un
provvedimento  assolutorio  perche'  il  fatto  non  sussiste  o  non
costituisce  reato  o che l'interessato non lo ha commesso ovvero nei
casi di archiviazione previsti dall'art. 411 c.p.p.
    Il   ricorrente   ritiene,   in   concreto,  che  il  diniego  di
legalizzazione  non  sia  stato adeguatamente motivato in riferimento
alla  circostanza assolutamente rilevante che, successivamente, detta
denuncia  sia  stata archiviata per estinzione del reato a seguito di
remissione  della  querela  con  accettazione  e, quindi, per uno dei
motivi  previsti  nell'art. 411 c.p.p. e che non sia stato consentito
ne'  al ricorrente, ne' al lavoratore straniero di potere partecipare
al procedimento in itinere per riferire sugli sviluppi delle indagini
penali.
    L'amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ritenendo
infondato il ricorso ne chiede la reiezione, vinte le spese.
    Alla  pubblica  udienza  del  23 novembre 2004, la causa e' stata
chiamata  e,  quindi,  e'  stata trattenuta per la decisione, come da
verbale

                            D i r i t t o

    Con il presente ricorso, il sig. Vincenzo Costantino, titolare di
un'impresa  individuale,  chiede  l'annullamento  del  decreto con il
quale  l'Ufficio  territoriale  del  Governo - Prefettura di Parma ha
negato  al  medesimo  la  possibilita'  di legalizzare il rapporto di
lavoro  precedentemente  instaurato  con  l'assunzione  alle  proprie
dipendenze  del sig. Alimandhi Veli, cittadino albanese sprovvisto di
titolo  di  soggiorno,  ai  sensi  dell'art. 1  del 9 settembre 2002,
n. 195,  convertito,  con  modificazioni, dalla legge 9 ottobre 2002,
n. 222.
    Tale  disposizione,  infatti,  consente a chi occupi alle proprie
dipendenze cittadini extracomunitari in posizione irregolare, di fare
emergere  detto  rapporto e quindi di legalizzarlo, stipulando con il
lavoratore  straniero  apposito  contratto  di  soggiorno  per lavoro
subordinato  a  tempo  indeterminato  ovvero  a tempo determinato, ma
avente durata non inferiore ad un anno.
    Lo   stesso   articolo   poi   all'ottavo  comma,  elenca  alcune
fattispecie  in riferimento alle quali la legalizzazione del rapporto
lavorativo e' esclusa in modo automatico.
    Tra  queste,  risulta  rilevante,  ai  fini  che  in  questa sede
interessano,  l'ipotesi  sub c) che prevede la reiezione dell'istanza
di   legalizzazione   presentata  del  datore  di  lavoro  qualora  i
lavoratori stranieri assunti irregolarmente «risultino denunciati per
uno  dei  reati  indicati  negli  articoli  380  e  381 del codice di
procedura  penale,  salvo  che il procedimento penale si sia concluso
con un provvedimento che abbia dichiarato che il fatto non sussiste o
non  costituisce  reato o che l'interessato non lo ha commesso ovvero
nei  casi  di  archiviazione  previsti  dall'art. 411  del  codice di
procedura penale».
    In  tale  ipotesi  rientra  il caso in esame, poiche' la Questura
della  Provincia  di  Parma, operando in sede istruttoria nell'ambito
del  sub  procedimento  di  sua  competenza  relativo  al  nulla osta
necessario  al  cittadino albanese per ottenere la legalizzazione del
rapporto lavorativo, ha accertato che questi era stato denunciato per
l'ipotesi  di  reato di cui all'art. 624 c.p. (furto), rientrante tra
le fattispecie delittuose elencate nell'art. 381 c.p.p.
    Al riguardo, occorre innanzitutto rilevare che il gravato decreto
prefettizio risulta immune dai vizi segnalati in ricorso, dal momento
che,  alla data in cui e' stato adottato tale provvedimento, non solo
non  era  stato ancora emesso il provvedimento di archiviazione della
suddetta  denuncia  per furto, ma non si era nemmeno conclusa la fase
delle  indagini preliminari successiva all'acquisizione della notitia
criminis.
    Risulta  pertanto  evidente  che ne' il diniego di nulla osta nei
confronti  del  cittadino albanese adottato in data 7 aprile 2003 ne'
la  successiva  reiezione  dell'istanza  di  legalizzazione  di  tale
posizione  lavorativa  subordinata  assunta  dal Prefetto di Parma in
data  11 aprile 2003 potevano contenere alcuna motivazione riguardo a
detta  archiviazione,  emessa dal g.i.p. presso il Tribunale di Parma
solo  in  data  19 giugno  2003,  a  seguito di proposta in tal senso
formulata  dalla  Procura della Repubblica presso lo stesso tribunale
in data 9 giugno 2003.
    D'altra  parte, stante la riportata cronologia dei fatti, nemmeno
puo'  essere  imputato  all'amministrazione  procedente,  come invece
assume  il ricorrente, di non avere fatto partecipare al procedimento
di  legalizzazione  i  soggetti direttamente interessati, dal momento
che,  ancora  alla data di adozione del provvedimento prefettizio, la
situazione  del  cittadino albanese era quella di soggetto indagato e
che,  quindi,  nessun  elemento nuovo riguardante la suddetta vicenda
egli poteva offrire alla valutazione dell'autorita' procedente.
    Ne'  pare possibile interpretare la disposizione in questione nel
senso  di  imporre  all'amministrazione  -  ove  essa  accerti che il
lavoratore   straniero   sia   stato  denunciato  e  allo  stato  sia
semplicemente  indagato  per  le  ipotesi  di  reato  previste  dagli
artt. 380 e 381 c.p.p. - di sospendere il procedimento amministrativo
riguardante  l'istanza  di legalizzazione fino alla conclusione della
vicenda  penale, dal momento che sia la lettera dell'art. 1, comma 8,
lett.  c)  del  d.l.  n. 195 del 2002 che la ratio che ha ispirato la
normativa  diretta  a  fare  emergere il lavoro prestato da cittadini
stranieri  non  in  regola  con  le  norme  relative al soggiorno non
lasciano  alcuno  spazio all'interprete per ipotesi diversa da quella
che  impone di considerare anche lo status di indagato del lavoratore
extracomunitario  quale  elemento  ostativo  in  modo  automatico  al
rilascio   del   nulla  osta  e,  conseguentemente,  all'accoglimento
dell'istanza   di   legalizzazione  della  posizione  lavorativa  del
cittadino straniero.
    Per quanto riguarda il primo aspetto, e' sufficiente rilevare che
la  disposizione  in  parola  si  esprime  in termini di procedimento
penale  «concluso» e che, pertanto, l'esito pienamente favorevole per
il  lavoratore straniero indagato o il provvedimento di archiviazione
debbano necessariamente precedere il momento in cui l'amministrazione
provvede  sull'istanza  di  legalizzazione  presentata  dal datore di
lavoro.
    Relativamente al secondo aspetto, invece, il Collegio ritiene che
il  consentire  la  permanenza  in  Italia del cittadino straniero in
posizione  irregolare per il periodo - sovente della durata di alcuni
anni - necessario alla conclusione del procedimento penale pendente a
carico  di  quest'ultimo,  si ponga in evidente e stridente contrasto
con  la  ratio  della  normativa de qua, espressamente diretta a fare
emergere  e  a  regolarizzare  in  tempi  brevi  - e comunque il piu'
sollecitamente  possibile - la posizione lavorativa di quei cittadini
stranieri  ritenuti  meritevoli,  sulla  base  del  loro  complessivo
comportamento,  di proseguire legalmente il soggiorno in Italia, fino
a quel momento svoltosi in clandestinita'.
    Pertanto,  sulla  base  delle  considerazioni  che  precedono, il
ricorso  dovrebbe essere respinto; il Collegio ritiene, tuttavia, che
sussistano   i   presupposti   per  sollevare,  d'ufficio,  ai  sensi
dell'art. 23  della  legge  n. 87 del 1953, questione di legittimita'
costituzionale   del   citato  art. 1,  comma 8  lett.  c)  del  d.l.
9 settembre  2002,  n. 195,  convertito  dalla  legge 9 ottobre 2002,
n. 222 per ritenuto contrasto con il principio di uguaglianza formale
di cui all'art. 3, primo comma, della Costituzione.
    Quanto  alla  rilevanza della questione, il tribunale ritiene che
essa   sussista   pienamente,   dato   che   l'esito  della  presente
controversia  dipende  unicamente  dal giudizio di conformita' o meno
della  citata  disposizione alla Carta costituzionale che verra' reso
dal Giudice delle leggi.
    In   merito  alla  non  manifesta  infondatezza  della  sollevata
questione,   il   Collegio   ritiene   di   esprimere   le   seguenti
considerazioni.
    Ai  sensi  di quanto disposto dall'art. 330 e segg. del codice di
procedura  penale,  le  notizie di reato possono essere acquisite dal
pubblico ministero o dagli ufficiali di polizia giudiziaria d'ufficio
o  su  denuncia  proveniente  da  pubblici  ufficiali,  incaricati di
pubblico  servizio  e  anche  da  privati  ed  esse sono iscritte nel
registro  di  cui all'art. 335 c.p.p., con conseguente assunzione, da
parte della persona denunciata, dello status di indagato.
    In un secondo tempo, all'esito delle indagini preliminari svolte,
detta  denuncia  potra'  evolversi nel senso dell'esercizio, da parte
del  pubblico  ministero  dell'azione  penale  mediante imputazione o
rinvio  a  giudizio  della persona indagata o, viceversa, dar luogo a
provvedimento di archiviazione ex art. 408 e segg. c.p.p.
    Appare  evidente,  pertanto,  che  la  semplice denuncia penale a
carico  di  un  cittadino  straniero  non  puo' fornire all'autorita'
amministrativa   che   sta  procedendo  all'esame  della  istanza  di
legalizzazione   della   sua   posizione   lavorativa  irregolare  e,
conseguentemente,  anche  a valutare, in termini di meritevolezza, la
possibilita'  di  concedere al lavoratore straniero, previo contratto
sottoscritto  unitamente  al  datore  di  lavoro, specifico titolo di
soggiorno  per  lavoro  subordinato,  alcun elemento rilevante a tale
ultimo scopo, stante che quanto meno fino al termine della fase delle
indagini   preliminari,  l'iter  procedimentale  non  prevede  alcuna
approfondita  valutazione  -  da  parte  dell'autorita' giudiziaria -
circa  la  attendibilita'  e  la  fondateza  della notitia criminis e
quindi,   sulla  sussistenza  quanto  meno  di  consistenti  elementi
indiziari circa la responsabilita' della persona indagata.
    Ne',  d'altra  parte,  la  delimitazione normativa dell'ambito di
rilevanza della semplice denuncia alle sole gravi ipotesi di reato di
cui  agli  artt. 380  e  381  del  codice  di  procedura penale, puo'
ragionevolmente    comportare    l'attribuzione   di   una   maggiore
attendibilita'  alla  stessa  notitia  criminis ne' quest'ultima, ove
ricorrano  tali casi, e' oggetto di particolari procedure cautelative
antecedenti l'iscrizione «immediata» nel registro di cui all'art. 335
c.p.p.
    Ritiene  il  Collegio,  in  definitiva, che la sussistenza di una
semplice  denuncia  a  carico del cittadino straniero, costituisca un
irragionevole      parametro      normativo     per     differenziare
ingiustificatamente,   all'interno   della  categoria  dei  cittadini
stranieri  per  i  quali  e'  stata  chiesta  la  legalizzazione - in
sanatoria  - della posizione lavorativa e di soggiorno sul territorio
italiano,  coloro che siano meritevoli o meno di ottenere il suddetto
beneficio,  con  conseguente  contrasto  tra il citato art. 1, ottavo
comma   lettera   c)  del  decreto-legge  9  settembre  2002,  n. 195
convertito,  con  modificazioni, dalla legge 9 ottobre 2002, n. 222 e
il  principio  di uguaglianza formale di cui e' espressione l'art. 3,
primo comma, della Carta costituzionale.
    Pertanto,  a norma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
il  tribunale  dispone  la  sospensione  del  presente  giudizio e la
remissione della questione all'esame della Corte costituzionale.